50 anni fa lo Sciopero generale della Carnia, a Tolmezzo si riflette sull’Oggi e sul Domani
Merccoledì 29 novembre, alle ore 17.30 a Tolmezzo nella sala convegni UTI della Carnia (ex Comunità Montana) è in programma un’evento molto particolare, dal titolo “La Carnia di ieri. la Carnia di oggi! La Carnia di domani?”, promosso dal Gruppo “Gli Ultimi” di Tolmezzo e dai Comitati Carnici per la difesa della Montagna della Carnia, da Legambiente e dall’Associazione Giorgio Ferigo. La data non è stata scelta a caso, perchè il 29 novembre di 50 anni fa la Carnia si mobilitò in massa con uno Sciopero generale contro la chiusura della tratta ferroviaria ma non solo. Così i promotori raccontano quei giorni e invitano tutti a partecipare alla serata che vedrà le relazioni di Franceschino Barazzutti e Marco Lepre, moderati da Denis Baron.
Cinquanta anni fa …
“Tutto chiuso in Carnia: chiusi i municipi, chiusi i negozi, chiusi gli esercizi pubblici, gli istituti di credito, le scuole, le fabbriche, le botteghe artigiane”. Così esordiva il 29 novembre del 1967 l’articolo del quotidiano Il Gazzettino che annunciava lo Sciopero Generale della Carnia.
Quel giorno una moltitudine mai vista prima e che forse non si è mai più rivista in seguito, stimata dal Corriere della Sera in oltre cinquemila persone, sfilò per le vie di Tolmezzo issando cartelli di protesta e radunandosi in piazza XX Settembre per ascoltare le rivendicazioni lette dal balcone del municipio. Del Comitato di Agitazione facevano parte la Giunta della Comunità Carnica, i Sindaci, i rappresentanti dei sindacati, delle associazioni di categoria, degli studenti universitari e di tutte le segreterie locali dei partiti politici.
A provocare la grande manifestazione non era stata solo l’annunciata chiusura da parte della Società Veneta della linea ferroviaria Carnia-Tolmezzo-Villa Santina – fatto che veniva percepito come un ulteriore colpo alle possibilità di sviluppo del territorio – ma tutta una serie di questioni che da tempo erano state poste inutilmente all’attenzione delle autorità statali e regionali: dalla grave realtà occupazionale che spingeva migliaia di montanari ad emigrare, alla lunga attesa per vedere concretizzarsi le promesse di industrializzazione; dalle conseguenze dello sfruttamento idroelettrico, aggravate dal rifiuto dei gestori degli impianti di versare al BIM i sovracanoni dovuti per legge, al mancato ammodernamento delle infrastrutture viarie; dalla questione del dissesto idrogeologico e dei risarcimenti per i danni provocati dalle recenti alluvioni, alla difficile situazione dei bilanci comunali; dalla preoccupazione per l’estensione delle servitù militari a quella per la chiusura od il ridimensionamento di importanti servizi come il Tribunale e l’Ospedale Civile di Tolmezzo. Quello che è passato alla storia come lo “sciopero del trenino” segnò, nella Carnia del secondo dopoguerra, un momento di netta rottura con la situazione precedente, sia perché venne raggiunto un punto di tensione nei confronti dello Stato particolarmente acuto, sia perché da esso deriveranno
risposte e conseguenze di fondamentale importanza.
Un significativo cambiamento si ebbe già alle elezioni regionali e politiche della successiva primavera, che penalizzarono la democrazia cristiana e portarono al successo i socialisti e le forze autonomiste. Esponenti carnici del PSI, in particolare, entrarono in Parlamento e ottennero la Vicepresidenza della Giunta Regionale. Tutto quello che di positivo seguì negli anni successivi – dalla creazione della zona industriale all’insediamento della SEIMA (finanziata dalla legge regionale che incentivava l’industrializzazione della montagna), dalla nascita dei poli turistici invernali dello Zoncolan e del Varmost all’istituzione delle Comunità Montane come strumento di autogoverno dei montanari – sarà in qualche modo il frutto di quella protesta e di quella stagione di impegno e proposta che vide spesso in sintonia i cittadini con i loro rappresentanti nelle istituzioni.
… e oggi? Molte sono le analogie che si possono trovare tra la difficile situazione che la montagna viveva alla fine degli anni Sessanta e la realtà odierna e innumerevoli sono le cose da criticare e i motivi per provare delusione, rammarico e rassegnazione. Una cosa però è certa: solo con l’impegno e la partecipazione si può pensare di uscire dai momenti più negativi. Solo cominciando a informarsi, conoscere, riflettere e sforzandosi di confrontarsi e avanzare proposte concrete si può sperare di trovare l’unità e la forza per cambiare l’attuale stato delle cose. Questa, in fondo, è la lezione che ci viene dallo sciopero del trenino.