Artigianato in provincia di Udine, nel 2022 una crescita senza occupazione
Il 2022 va in archivio per l’artigianato con un dato, relativo al fatturato delle imprese, di segno positivo. Nel corso dell’anno scorso sono prevalse le aziende con ricavi in crescita, oltre la metà del totale, il 54,3%, a fronte di un 19,2% di realtà in calo per un saldo d’opinione che si attesta al +35,1%. In termini di variazione percentuale del fatturato del 2022, rispetto al 2021, la crescita del giro d’affari ha investito tutti e tre i macrosettori, maggiore nelle costruzioni (+8,8%) minore nei sevizi (+6,7%) e nelle manifatture (+6,2%), con una variazione complessiva per il fatturato artigiano della provincia di Udine pari a +7,3%, che diventa +12,5% per le aziende orientate all’export.
E’ il dato con cui si apre la 34° indagine congiunturale sull’artigianato in provincia di Udine elaborata da Nicola Serio, responsabile dell’ufficio studi di Confartigianato-Imprese Udine, e presentata stamattina nella sede dell’associazione a Udine. L’indagine è frutto di 609 interviste ad altrettante imprese artigiane effettuate tra gennaio e febbraio dall’Irtef di Udine per conto di Confartigianato. Se gli intervistati hanno certificato il buon andamento dei loro affari, hanno anche messo sul piatto la perdurante difficoltà al reperimento della manodopera, un tema che rischia di rallentare se non invertire il trend di crescita nei prossimi anni. L’occupazione dipendente nel 2022 è calata in media del -1,4%, in particolare due settori su tre – le manifatture (-3,5%) e i servizi (-2,4%)), con l’eccezione del comparto costruzioni (+2,1%).
«Si sta manifestando un fenomeno di jobless growth, crescita senza occupazione, ma il rischio è che questa con l’andare del tempo si traduca in un rallentamento della crescita. Bisogna quindi invertire la tendenza» ha detto commentando i dati il presidente di Confartigianato Udine, Graziano Tilatti. Da un lato intervenendo a supporto delle famiglie per rilanciare la natalità, dall’altro lavorando con le scuole per far conoscere e apprezzare ai ragazzi i lavori tradizionali: perché si può anche avere una laurea in tasca ma decidere di lavorare in un’impresa artigiana se non di aprirne una propria» ha aggiunto il presidente indicando come terzo, essenziale ingrediente per fronteggiare il problema della carenza di manodopera, l’immigrazione. «L’intervento sulla natalità richiede tempo e anche quello per liberare il lavoro manuale dall’idea che ne hanno molti giovani, tempo che non abbiamo. Nell’immediato abbiamo quindi bisogno anche del contributo dei lavoratori stranieri».
Positiva invece la fiducia delle imprese sulla competitività della propria attività: su una scala da 1 a 10, il giudizio si attesta a 7,7. Il più alto dal 2015.
E la self confidence è ancora più alta nelle costruzioni e nei servizi, dove il “voto“ arriva a 7,9. Insufficiente, benché in crescita, la fiducia nel sistema Paese, che si ferma a un voto medio del 5,1. Un dato che sconta le molteplici criticità vissute dall’artigianato: dall’aumento dei prezzi energetici e delle forniture, con riflessi negativi sui margini di profitto delle aziende, alla mancanza di capitali per investimenti (che tuttavia nei prossimi 2 anni le imprese prevedono di realizzare), alle difficoltò di accesso al credito passando per quelle della già citata manodopera qualificata. E non ultimo i crediti incagliati legati al Superbonus. Tema, quest’ultimo, che rischia di mettere in crisi molte aziende artigiane ha ricordato ieri Tilatti rivolgendo un appello al Governo nazionale: «Confidiamo nel buonsenso del Consiglio dei ministri affinché trovi una soluzione, così da sbloccare l’impasse in cui ci siamo venuti a trovare, e di un impulso ulteriore alla transizione energetica, quale elemento di competitività per le nostre imprese e di attenzione per l’ambiente».