L’esperienza del terremoto del ’76 esempio di resilienza alle situazioni critiche
“L’esperienza del terremoto del 1976 fu un emblematico esempio di resilienza a cui vennero sottoposti, loro malgrado, i cittadini del Friuli Venezia Giulia. Dopo lo smarrimento iniziale per aver perso ciò che la furia del sisma aveva inesorabilmente distrutto, prevalse lo spirito di sacrificio e l’abnegazione della nostra gente: dalle macerie, la popolazione e le istituzioni assieme, riuscirono a rimettere in piedi un intero sistema, non solo facendolo ripartire ma consentendo anche alla nostra regione di compiere un grande salto di qualità. Ciò che venne compiuto all’epoca resta ancora un esempio, a futura memoria sia di quanti vissero quell’esperienza sia di chi allora non c’era ma che ha ora sotto gli occhi quanto venne compiuto con grande lungimiranza”.
Lo ha detto l’assessore regionale alle Finanze Barbara Zilli durante il suo intervento nella sala consiliare del Comune di Gemona a “ResiliEnhance field-trip FVG”, iniziativa tenutasi nell’ambito del Programma ResiliEnhance, sviluppato con l’Iniziativa Centro Europea (InCE), dalla Cattedra Unesco dell’Università di Udine in collaborazione con il Cism e supportato dalla Regione Friuli Venezia Giulia. Il programma è finalizzato allo studio della resilienza alle situazioni critiche e alla trasformazione degli approcci di governance, in contesti complessi e di rischio sistemico. Il field-trip coinvolge un gruppo multidisciplinare di esperti internazionali e interesserà l’area colpita dal terremoto del 1976. Lo scopo è condurre un’analisi retrospettiva post-evento di un caso studio di governance dei disastri, adottando un approccio intersettoriale attraverso discussioni, scambi di esperienze e lavoro collaborativo a livello internazionale.
“Ringrazio questo gruppo di esperti – ha detto l’assessore – perché non poteva esserci luogo migliore per poter analizzare un caso di studio che divenne emblematico e che fu un’esemplare dimostrazione della resilienza della popolazione locale. Il riferimento è al duomo di Venzone, simbolo della ricostruzione, che venne riportato al suo antico splendore grazie alla forza di volontà espressa dalla popolazione locale. Dalle macerie, ogni singola pietra venne recuperata; quei 7650 pezzi furono adagiati in un campo in attesa che – in un percorso condiviso che mise al primo posto la ricostruzione dei capannoni, a cui fecero seguito le case e quindi le chiese – quel simbolo potesse rivedere la luce attraverso il processo di anastilosi. Non fu un’operazione facile ma a sorreggere quell’impresa ci fu la forza di una intera comunità, con le sue radici ben salde nel territorio”.
“Allora il Friuli Venezia Giulia – ha aggiunto Zilli – fu antesignano di quello che fu un evento eccezionale e per il quale il territorio è ancora grato verso chi non solo condivise ma anche mise in atto quella scommessa. Ciò che allora sembrava impossibile oggi invece è diventato quasi una normalità, grazie agli studi e alla formazione di quanti si dedicano a questo tipo di interventi. Il pensiero quindi è rivolto alle giovani generazioni, che devono avere sempre più padronanza del territorio non solo sotto il profilo urbanistico ma anche come tutela di un patrimonio di valore inestimabile qual è quello legato all’identità di una comunità, che si costruisce con il rispetto e la condivisione dei valori della popolazione locale”.