La Spi Cgil: «Un inverno demografico in Fvg, a rischio welfare e mondo del lavoro»
L’aggravarsi della spirale demografica, connesso a una riduzione dei flussi migratori e al drenaggio di popolazione dalle aree montane e interne verso i centri più urbanizzati, ha già effetti pesantissimi sulla tenuta sociale e occupazionale del Friuli Venezia Giulia, ma che rischiano di diventare insostenibili negli anni. «Una vera e propria bomba a orologeria, che può essere disinnescata soltanto attraverso politiche redistributive più eque, misure di sostegno genitoriali, migliori politiche di accoglienza e integrazione, maggiori investimenti e opportunità a favore delle nuove generazioni, oltre ad un rafforzamento dei servizi sociali, sanitari e socio-sanitari. Un aumento dei bisogni individuali e collettivi che deve rappresentare sempre più la stella polare per le organizzazioni di rappresentanza dei pensionati e per il sindacato confederale». Questo l’allarme, e allo stesso tempo la sfida, lanciato dal segretario generale del Sindacato pensionati Cgil del Friuli Venezia Giulia Renato Bressan (nella foto) in occasione dell’assemblea organizzativa di questa settimana, alla presenza di tutte le strutture confederali e di categoria della Cgil regionale.
L’INVERNO DEMOGRAFICO Se nel 1982 in Fvg gli under 14 erano più degli over 65 (214mila contro 210mila), il rapporto si è diametralmente ribaltato: oggi, infatti, gli over 65 sono 321mila, il 26% della popolazione, e gli under 14 poco più di 135mila, meno della metà. Le conseguenze sono devastanti in prospettiva, perché lo stock dei lavoratori in uscita nella classe 55-64 anni è coperta solo per il 60% circa dai potenziali nuovi ingressi della fascia tra 15 e 24 anni, ma con pesanti difficoltà già percepite, e aggravate dalla riduzione, negli ultimi anni, dell’apporto degli immigrati, «fondamentali per la tenuta sociale e occupazionale della regione». La forza lavoro potenziale nella fascia 15-64 anni, in 40 anni, è scesa di oltre 70mila unità, passando da 810mila a 737mila residenti: i flussi di immigrazione e l’aumento dell’occupazione femminile non sono bastati a compensare la flessione. Ma cresce anche il fabbisogno di assistenza, sia sanitaria che socio-sanitaria, con ben 108mila over80 (triplicati rispetto al 1982!), 38mila non autosufficienti con indennità di accompagnamento e una disponibilità di potenziali caregiver familiari in costante calo, sempre a causa dell’invecchiamento.
LAVORO DIPENDENTE, REDDITI IN PICCHIATA A rendere più rigido l’inverno demografico non solo gli effetti della pandemia, che ha ulteriormente contribuito all’aumento della mortalità e al calo delle nascite, ai minimi storici, ma anche e gli squilibri nella distribuzione del reddito. «Tra il 2015 e il 2021 – spiega Bressan – il reddito complessivo è cresciuto da 19,7 a 21,6 miliardi, più dell’inflazione quindi, ma la fetta più grossa della torta è andata al lavoro autonomo, ai titolari di impresa e ai redditi da partecipazione. Le pensioni si sono difese, sia pure con un numero altissimo di assegni che non arrivano ai mille euro lordi, prima dei nuovi tagli alla rivalutazione di questo Governo, mentre i dipendenti hanno perso in termini di reddito reale, visto che quello nominale è cresciuto solo del 3,5% in 6 anni. Il biennio 2022-23, con il ritorno dell’inflazione a doppia cifra, ha ulteriormente aggravato le cose».
RAFFORZARE IL WELFARE Se ad arrancare, oggi, sono soprattutto i lavoratori a reddito basso e medio e anziani e non autosufficienti, che faticano sempre più a trovare risposte nel sistema socio-sanitario, la carenza di servizi colpisce anche le famiglie, frena la crescita del lavoro femminile soprattutto pone una pesante ipoteca sul futuro dei giovani, in prospettiva sia occupazionale che previdenziale. Da qui l’appello alla Regione e ai sindaci, chiamati «a mettere in campo tutte le misure possibili per cercare di frenare e invertire le tendenze in atto da un lato, di far fronte dall’altro alla maggiore domanda di assistenza e servizi che viene da anziani, non autosufficienti e famiglie». Sotto accusa, inoltre, le forze e gli esponenti politici che, «come la sindaca di Monfalcone, strumentalizzano la presunta emergenza legata all’immigrazione, quando invece gli immigrati «continuano a rappresentare un supporto fondamentale per il sistema produttivo, occupazionale e per la tenuta dei conti previdenziali». A sindaci e Comuni lo Spi chiede invece misure concrete di rafforzamento della spesa socio-sanitaria e degli investimenti in servizi, «forti della crescita delle entrate correnti, che tra 2016 e 2022 sono salite di 58 milioni, assorbite solo a metà dalla maggiore spesa sociale, appena 27 milioni in più, nonostante la parte disponibile dei fondi sia anch’essa cresciuta di 60 milioni». Risorse che per Bressan vanno messe in circolo per «rafforzare il welfare territoriale, i servizi, le opportunità di lavoro e formazione per le giovani generazioni, le politiche abitative e redistributive». Obiettivi, questi, che lo Spi porterà avanti lanciando, a fianco dei sindacati degli attivi e dei pensionati di Cisl e Uil, «una campagna straordinaria di contrattazione sociale con gli enti locali, consapevole di parlare a nome di 50mila iscritti e con alla spalle, in Friuli Venezia Giulia, una rete di centinaia di volontari e di sportelli presenti in ben 94 comuni».