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Colata detritica in Val Pesarina, l’analisi del dottore forestale Giulio Massaro

«Una colata detritica interessante, da studiare, perché tipica degli ambienti dolomitici di cui le Dolomiti Pesarine sono a tutti gli effetti parte, anche se poco studiate. La loro composizione rocciosa è Dolomia». Con questo sguardo attento, e per certi versi sorprendente, il giovane dottore forestale Giulio Massaro ha guardato all’evento di colata che il 7 agosto scorso ha interrotto il traffico sulla strada regionale 465 in Alta Val Pesarina, a seguito di una intesa precipitazione.

Premesso l’auspicio che la circolazione possa essere attivata al più presto per il bene economico, sociale e ambientale della Valle (pesanti, per esempio, le conseguenze sull’attività del rifugio De Gasperi), Giulio Massaro, che alla Val Pesarina ha dedicato la sua recente tesi di laurea, richiama l’attenzione degli esperti su quanto successo per poterne capire meglio le dinamiche e cominciare così a studiare una porzione di Friuli e Carnia «non ancora conosciuta a valorizzata quanto meriterebbe».

In queste settimane Massaro è andato ad analizzare da vicino la colata detritica (per l’esperto, guai a chiamarla “frana”), soprattutto nell’area di innesco, raggiungibile attraverso i sentieri Cai 232 (dal De Gasperi alla Forca dell’Alpino) e 316, dal De Gasperi al Passo Siera.

«Il bacino di formazione è ubicato nel versante nord della Val Pesarina, in sinistra orografica, sottostante al Creton di Clap Grande e al Creton di Culzei, separati dalla nota Forca dell’Alpino, nel gruppo montuoso delle Dolomiti Pesarine, nelle Alpi Carniche – spiega -. La zona di innesco è rappresentata da falda detritica al piede di pareti rocciose di natura dolomitica e l’evento si è innescato probabilmente per “effetto idrante”. Il canale di scorrimento è un canalone roccioso e detritico di matrice dolomitica ad elevata pendenza, a ovest del canalone di Rio Bianco più noto per il toponimo e per altri eventi franosi passati. La zona di deposito coincide con il fondovalle interessato dal corso del torrente Pesarina e dal passaggio della SR 465 che in tale punto forma due tornanti consecutivi. Si stima un volume di materiale movimentato dalla colata dell’ordine di 100mila metri cubi».

Una colata che, nella sintesi di Massaro, «è tipica delle aree dolomitiche. A monte dei canaloni, in prossimità delle forcelle, si creano accumuli di materiale detritico che, a seguito di eventi particolari, come le piogge intense di inizio agosto, precipitano a valle». Nell’area ora interdetta al traffico, Massaro riconosce che «la Regione ha già fatto molti investimenti, per importanti e opportune opere di contenimento. Forse, però, la stima del volume della possibile colata detritica doveva essere pensato ancora più consistente di quanto è stato ipotizzato in fase progettuale». Con i cambiamenti climatici in corso, prosegue il giovane esperto, «l’attenzione di fondo occorre porla sul calcolo dei tempi di ritorno di eventi eccezionali, tempi che, purtroppo, sono sempre più ravvicinati a causa del ripetersi di eventi estremi a breve distanza temporale l’uno dall’altro».

Fortemente legato alla Val Pesarina e a Prato Carnico in particolare, Massaro non rinuncia a pensare che in queste aree si possa continuare a vivere e, anzi, a rendere il territorio sempre più attrattivo. Per questo a Padova si è laureato presentando lo «Studio di fattibilità per l’istituzione di un’area protetta per la tutela e la valorizzazione delle Dolomiti Pesarine in Friuli Venezia Giulia e in Veneto: l’ipotesi progettuale di un parco naturale». Un parco sullo stile di quello che tutela e valorizza le Dolomiti friulane. «Avrebbe importanti ricadute positive da un punto di vista ambientale, sociale e economico su tutta l’area», conclude.

È allo studio la presentazione dello studio di fattibilità del parco nei diversi comuni, a partire da Prato Carnico.