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Come gestiremo i pascoli e le malghe della Carnia?

Proponiamo un nuovo contributo del dottore forestale Andrea Pincin, dedicato in questa occasione al tema dello spopolamento e della gestione del paesaggio nell’area della Carnia.

Gli splendidi paesaggi della Carnia, nella loro articolazione armoniosa, raccontano storie di vita rurale attiva e pulsante, raccontano del lavoro di uomini, donne e animali. Mi vengono in mente alcuni versi del poeta Giosuè Carducci, che tanto ha amato la Carnia: “ma del comun la rustica virtú/ […] veggo ne la stagion de la pastura/ […] il consol dice […] e voi trarrete la mugghiante greggia/ e la belante a quelle cime là”. Versi che ricordano un mondo che sembra ormai scomparso. Nel paesaggio si leggono evidenti i segni di alcuni profondi cambiamenti in corso, trasformazioni che non sono per forza positive. Dovunque poso lo sguardo, i prati e i pascoli lasciano posto al bosco. Lo leggo dapprima nel colore giallo dei prati, indice di erba secca che non è  stata utilizzata; lo leggo nei giovani alberi e arbusti, che con sempre più vigore si sviluppano su quelle superfici che un tempo erano curate e coltivate: un paesaggio che riporta indelebili i segni dell’abbandono e dello spopolamento della montagna.  

E come potrebbe essere altrimenti? Nel 1951 in Carnia vi erano circa 61.000 residenti, oggi se ne contano circa 36.000: la popolazione si è quasi dimezzata in settant’anni, dato aggravato dall’aumento esponenziale dell’età  media degli attuali residenti. Le aziende agricole, che rappresentano il principale strumento di cura del paesaggio e giocano un ruolo anche ai fini occupazionali, nei primi anni ‘80 in Friuli Venezia Giulia erano più di 64.000, nel 2020 ne sono rimaste poco più di 16.000: in quarant’anni sono scomparsi i tre quarti delle aziende agricole. Nella montagna friulana è andata ancora peggio: in trent’anni (1982 – 2010) abbiamo perso il 90% delle imprese agricole montane e negli ultimi 100 anni oltre il 70% delle malghe non sono più monticate. Dati che evidenziano un complessivo quadro di declino, ma per contro offrono prospettive, opportunità e spazi geografici, in cui il paesaggio è l’elemento cardine per garantire la vivibilità della montagna. Volendo azzardare una citazione dal Nuovo Testamento “la forza, infatti, si compie pienamente nella debolezza” (2 Cor 12,1-10).  La scelta è politica.  

Se il paesaggio rappresenta un fattore determinante nell’espressione della vivibilità, della residenzialità e dell’attrattività della montagna, va garantita un’operabilità diffusa a tutte quelle attività che ne promuovono una gestione attiva e sostenibile, in primis in ambito agricolo, selvicolturale e pastorale. Tra queste attività merita un cenno speciale l’allevamento ovino transumante, poiché in grado di incidere molto positivamente sul paesaggio alpino. Questo tipo di allevamento si caratterizza in quelle grandi greggi che trascorrono la stagione estiva sui pascoli in montagna e nelle altre stagioni percorrono l’area dei fondovalle e della pianura, rappresentando una millenaria forma di incontro tra le terre alte e basse, tra l’altro riconosciuta dall’UNESCO e inserita nel 2019 nella Lista del patrimonio culturale immateriale dell’umanità.  

Questa forma di allevamento ha, più di altre, la capacità di incidere in maniera molto significativa sul paesaggio: le greggi (e i loro pastori), passando al pascolo 365 giorni l’anno, sono dei veri e propri  “manutentori” e “sentinelle” di tutte quelle situazioni marginali e di abbandono, sia nell’ambito montano e alpino (malghe abbandonate e prati di fondovalle non più sfalciati), sia nella periferia dei piccoli e grandi centri abitati. L’allevamento ovino transumante è quindi uno strumento di prevenzione e cura dei fenomeni di degrado ambientale e inoltre permette di ridurre il rischio di incendi di interfaccia tra i boschi e i centri abitati (anche in area montana) e garantisce un monitoraggio capillare del territorio.  

Oggigiorno i paesaggi della Carnia ci indicano che non solo vi sono moltissimi spazi geografici che possono accogliere le greggi al pascolo, ma anzi ne hanno un disperato bisogno! Queste attività agricole e ambientali, così importanti per la montagna e i suoi paesaggi, necessitano di scelte politiche lungimiranti per promuoverne il riconoscimento e i servizi, anche a fini comunicativi, informativi, formativi e di coordinamento. Sono molte le realtà sociali, anche regionali, che non conoscono o non percepiscono l’importanza di questa forma di allevamento, favorendo al contrario un ostruzionismo. Alcune realtà italiane hanno promosso la Scuola nazionale di pastorizia (SNAP), una cui sede nella montagna della Carnia può favorire la promozione e il riconoscimento sociale di un settore chiave per il territorio alpino. La scuola di pastorizia in Carnia è inoltre un’opportunità che può diventare un riferimento tecnico e culturale per tutto l’arco alpino orientale, ricordando in particolare che la perdita della ruralità e della cultura agricola montana ha dei riflessi centrali nei rapporti di dialettica politica con la controparte cultura urbana. Un processo, questo, da elaborare in condivisione e coordinamento con gli altri attori della filiera, per promuovere forme di aggregazione (nel settore non sempre  facili), ma che garantiscono una rappresentatività, anche politica, e profili comunicativi coordinati.

ANDREA PINCIN