ARTEGNA- Domani a teatro c’è Ottavia Piccolo

Non c’è pace se c’è il filo spinato, né da una parte né dall’altra. Uomini e donne si sforzano di condurre una vita normale, ma è come respirare ai bordi una polveriera dell’odio, sempre al bivio tra ricerca della sicurezza e rapporto con la morte. E non c’è pace, allora, in terra di Israele e Palestina, da troppo tempo abituata a convivere con la tragedia e a subire gli effetti di una impersonale e implacabile “ragion di Stato” che impone alla gente “qualunque” sofferenza e odio.

Ottavia Piccolo, sensibile interprete che da sempre riversa nel lavoro d’attrice le vibrazioni di una toccante umanità femminile e di un personale impegno per la pace, attraversa questa “terra promessa” con il volto e il cuore di una donna ebrea, arrivata in Israele dall’Argentina, una cineasta contraria alla guerra, che ha pagato il prezzo altissimo della morte del figlio ma non si rassegna a piegarsi alla spirale del conflitto senza fine. E appunto, in “Terra di Latte e Miele”, spettacolo che ruba il titolo alla definizione biblica di Israele, in programma venerdì 21 gennaio al Teatro “Lavaroni” di Artegna, per il cartellone Ert, con un cammeo di Enzo Curcurù, è Leah, che, a Gerusalemme, rimasta in casa il sabato precedente la Pasqua, mentre il marito è in sinagoga, approfitta della solitudine per dedicarsi al suo documentario, “Medio Oriente: guida per il turista che non c’è”, e per comunicare con le amiche, palestinesi: Maria, insegnante e cattolica, e Hanan, giornalista e musulmana. Tutto sembra tranquillo, e invece tutto precipita: dall’esterno irrompe la tragica realtà dei bombardamenti e delle rappresaglie, che travolge certezze e sentimenti e sbocca in uno spoglio finale di impotenza. La tensione avvia in Leah un percorso interiore costellato di dubbi, domande e ricordi, sul passato, sulle lotte sostenute, sulla scelta stessa di tornare tanti anni prima nella terra promessa, dove il futuro pare ormai spezzato e bloccato. E’ la stessa scelta dell’autrice del testo, Manuela Dviri Vitali Norsa, ebrea di Padova che, dopo il matrimonio con un ebreo ortodosso, approdò realmente in Israele, dove perse un figlio in guerra e da dove oggi fa la corrispondente per il “Corriere della Sera”.

Storie incrociate di donne, dunque, da autrice a attrice, con sintonia di sensibilità per una scena “civile” cui la regia di Silvano Piccardi (già guida della Piccolo in “Buenos Aires non finisce mai” sul dramma dei desaparecidos argentini) toglie ogni impuntatura dimostrativa e politica, per costruire invece un duro spaccato di vita comune, sconvolta e prostrata dagli eventi di ordinaria carneficina della storia cosiddetta grande.