RAVEO- Anche dalla Provincia un no alla cava

E’ arrivato il no ufficiale da parte della Direzione d’Area Ambiente della Provincia di Udine alla coltivazione di una cava di gesso in località Chiarzò, nel comune di Raveo. La richiesta dell’espressione di un parere di valutazione di impatto ambientale era stata fatta dalla ditta pordenonese Cps Srl di Sarone di Capua, la stessa intenzionata ad iniziare i lavori per la cava. Molteplici le motivazioni che hanno portato i tecnici di Palazzo Belgrado ad esprimersi in questa maniera: innanzitutto la constatazione che “l’avvio dell’attività di cava sarebbe incompatibile con le finalità e le attività di recupero storico, ambientale, di valorizzazione e tutela del paesaggio promosse dall’istituzione del Parco intercomunale delle colline carniche”. E’ stata inoltre rilevata una carenza di documentazione e di elaborati grafici in merito all’analisi dell’impatto visivo della cava in attività ed in merito alla valutazione del disturbo acustico.
“Il documento della Provincia – ha spiegato il presidente del Consiglio provinciale Fabio D’Andrea, schieratosi fin dall’inizio contro il progetto di Raveo – evidenzia come i benefici derivanti dall’apertura di una nuova cava non sarebbero pari ai disagi causati alla popolazione locale. La valutazione di tali benefici inoltre, in rapporto al sistema socio-economico locale, non può essere considerata completa, in quanto non vengono esaminate le interrelazioni con l’analoga realtà produttiva di Entrampo, ad Ovaro. L’area scelta per l’attività estrattiva poi – ha concluso D’Andrea – è inopportuna poiché, come hanno evidenziato studi regionali del passato, interessata da diffusi fenomeni franosi”.
Carenti e contraddittori inoltre, sono stati considerati lo studio di impatto sui sistemi idrici e geologici dell’area, sulla gestione delle acque meteoriche, delle acque di captazione e della sistemazione finale del rio Bandit e del rio Surice. Ma non è tutto. Perplessità sono infatti state espresse anche nei confronti del modello di dispersione delle polveri. Per i tecnici provinciali infine “non è corretto identificare come temporaneo il disturbo arrecato alla popolazione animale vista la durata quindicennale dell’attività estrattiva”.