CarniaCultura

A Paularo si brucia la Femenate

Il 5 gennaio, a Paularo, si brucia la Femenate, secolare e antica tradizione molto sentita nella Vallata, il cui nome – donnaccia o strega – si riferisce alle caratteristiche negative idealmente racchiuse nel grande fantoccio bruciato il giorno precedente l’Epifania.

Questo spettacolare rito pagano si ripete da secoli nel comune carnico, conservando integre le sue finalità religiose, propiziatorie e presagistiche.

La giornata avrà inizio in mattinata con la “vestizione” delle Femenate: l’intelaiatura portante dell’altissima struttura è costituita da un supporto a forma di rombo, realizzato con lunghe e robuste stanghe d’abete stagionato e fissato con grossi chiodi al vertice di un lunghissimo palo ben piantato nel terreno, e poi rivestita con vari materiali di scarto. L’allestimento del pesantissimo feticcio è realizzato sul suolo e quindi fissato verticalmente da numerose persone con l’ausilio di diverse funi e scale.

femenate paularo 1Nel pomeriggio, guidati dalla Pro Loco che accompagnerà i visitatori per tutta la giornata (il ritrovo è previsto alle ore 10.00 in Piazza Nascimbeni), sarà possibile visitare le esposizioni dell’Ecomuseo I Mistîrs.

Al calare della sera, gli abitanti di ogni frazione si accalcano attorno al loro simulacro nell’attesa: da questo momento, come accadeva nei millenni passati, tempo e spazio rimangono sospesi. L’incaricato all’accensione, scelto tra i giovani dell’ultima coscrizione, si appresta ad eseguire l’ambito incarico. Le fiamme iniziano a crepitare alla base dell’antico “capo espiatorio”: guerre, terremoti, alluvioni, invidia, malocchio e tutti gli altri avvenimenti infausti con questo sacrificio religioso sono ormai scongiurati!

Tutt’intorno iniziano a cadere leggere le ceneri che, assieme alla candida neve, serviranno a rigenerare i campi. Dalle miriade di faville si traggono gli auspici per l’anno nuovo: “Se il fum al va a jevànt, l’anàda sarà bondant. Se il fùm al va a tramont, cjol il sac e va pal mont”. Spenta l’ultima favilla, i ragazzini di ogni frazione, uniti in gruppo raggiungono ogni famiglia del borgo, annunciandosi con la millenaria filastrocca della “Farina das lausjgnas”: con questa tradizionale cerimonia è chiesto il contributo per una cena, riservata a tutti coloro che hanno collaborato alla realizzazione dell’antico cerimoniale. “Binesere parunzine, nus daiso la farine? Veiso maçâ il temporâl? Se nò lu vêis maçâ, lu maçarêis! Dâinus chel pôc ca podêis.”

Tradizioni vissute interiormente dal paese con emozione, anno dopo anno, tramandate di generazione in generazione, alle quali non servono falsa pubblicità o tentativi di imitazione per attirare visitatori.