Alberghi Diffusi in montagna, l’intervento di Barazzutti: “Serve un tagliando”
“L’albergo diffuso è molto di più di un albergo”. Inizia con questo assunto l’intervento di Franceschino Barazzutti, già sindaco di Cavazzo Carnico e consigliere regionale, portavoce dei Comitati carnici, che ospitiamo sul nostro portale per favorire la discussione e il dibattito sul tema, più volte finito al centro di polemiche in Carnia.
Recentemente si è scritto e parlato molto dell’albergo diffuso, alle volte anche a sproposito impartendo “lezioni” agli operatori turistici della montagna da parte di chi la montagna non conosce e non la vive, insistendo sul numero inadeguato di presenze turistiche rispetto all’investimento pubblico e anche sul ruolo inopportuno, seppur legittimo, di qualche consigliere regionale. Poi è calato il silenzio: molto rumore per nulla, viene da pensare. Invece no: l’argomento è ben più articolato di quanto sia stato trattato e va invece esaminato da più angolature per fare una sintesi complessiva del rapporto costi/benefici.
Non ho competenze specifiche nel settore turistico, il che non mi impedisce di capire, guardandomi intorno, che il persistere della crisi economica generale si ripercuote inevitabilmente su questo settore dentro al quale sta, ovviamente, anche l’albergo diffuso. Fargli il “tagliando” – per usare un termine di moda – è necessario per evidenziarne i risultati nel settore specifico.
Ma limitare il “tagliando” solo ai risultati propriamente turistici sarebbe riduttivo e fuorviante. Infatti l’albergo diffuso ha ricadute positive più vaste e diversificate nel contesto montano. Infatti:
1) mentre l’albergo tradizionale quanto più è stellato, tanto più offre una permanenza in esso circoscritta grazie alla presenza di un complesso totalizzante di servizi che assorbe il cliente a causa di una sorta di forza centripeta per cui la struttura finisce spesso per prevalere sull’ambiente circostante, al contrario l’albergo diffuso si scioglie nel borgo montano – costituendone un unicum – in cui riversa e disperde i suoi ospiti, che proprio in questo trovano piacevole la permanenza. Il che non è cosa da poco per i borghi montani che contano sempre meno abitanti e sempre più cinghiali.
2) data la presenza nei borghi montani di tante case vuote, la loro destinazione ad albergo diffuso comporterebbe il recupero o miglioria delle stesse con beneficio del privato e della comunità.
3) se è vero che il privato proprietario dell’immobile da destinare ad albergo diffuso riceve un contributo da parte della Regione, è altrettanto vero che tale contributo sprona il proprietario dell’immobile a investire mezzi propri, che diversamente non investirebbe stante la staticità dell’economia del suo borgo montano.
4) anziché enfatizzare le grandi opere, in un contesto in cui la crisi ha falcidiato e falcidia tante piccole imprese edili artigiane della montagna, la conversione di immobili ad albergo diffuso può aiutare questo settore edile.
5) nel 40esimo del terremoto del Friuli e con il terremoto in atto in Italia centrale non dovrebbe sfuggirci il fatto che l’adattamento ad albergo diffuso di un edificio o sua parte deve essere attuato con la contemporanea messa in massima sicurezza antisismica, realizzando così due obiettivi, in particolare in quei territori dove un serio adeguamento antisismico non è stato fatto nel post sisma del 1976.
Nei borghi montani le tante case vuote, dalle imposte sempre ben chiuse, oltre ad infonderci un senso di abbandono e di malinconia, dovrebbero ricordarci che al prossimo botto dell’Orcolat soccomberanno, comportando, a post sisma, elevati costi, ben maggiori di quelli che si avrebbero ante sisma.
Per dirla in breve, il senso dell’albergo diffuso si diffonde ben oltre l’albergo ed il turismo.