Anna Mareschi Danieli: «Accolte almeno in parte le richieste al Governo di Confindustria»
“Siamo moderatamente soddisfatti per una serie di proposte che Confindustria aveva avanzato al Governo e che sono state, almeno in parte, accolte. Mi riferisco soprattutto alla cancellazione della rata di giugno dell’Irap, saldo e acconto, per tutte le imprese fino a 250 milioni di fatturato. Su questa misura, finalmente, registriamo un ascolto da parte del Governo”. Lo dice Anna Mareschi Daniele, presidente di Confindustria Udine.
“A quanto ci risulta, infatti, sono stati cancellati vincoli previsti dalla prima versione della norma, che limitavano il beneficio alle imprese fra 5 e 250 milioni che avessero subito una perdita di almeno il 33% nel fatturato ad aprile 2020 rispetto ad aprile 2019 – aggiunge Mareschi Danieli -. La norma prevederebbe l’esenzione dal versamento del saldo Irap dovuta per il 2019 e della prima rata, pari al 40 per cento, dell’acconto dell’Irap dovuta per il 2020 dalle imprese con un volume di ricavi compresi tra 0 e 250 milioni e dai lavoratori autonomi con un corrispondente volume di compensi. Rimarrebbe fermo l’obbligo di versamento degli acconti per il periodo di imposta 2019. Il provvedimento così configurato dovrebbe produrre uno “sconto” intorno ai 4 miliardi per 2 milioni di imprese.
“Quanto alla spinta da 12 miliardi per sbloccare i debiti della pubblica amministrazione, la cifra individuata non è quella attesa – prosegue la leader degli industriali friulani -. Inoltre, la manovra anticrisi, a quanto ci è dato sapere, metterebbe in moto un meccanismo sblocca-pagamenti per la liquidazione dei debiti certi, liquidi ed esigibili al 31 dicembre 2019 da parte di enti territoriali e Asl. Di questa provvista 6,5 miliardi sarebbero destinati a Comuni, Province e Città metropolitane, 1,5 miliardi sarebbero per le Regioni e 4 miliardi sarebbero riservati alle aziende sanitarie locali, ma le risorse sono gestite da Cdp con anticipazioni da restituire in 30 anni. Insomma, si tratta anche in questo caso di un prestito. Ma noi imprese le tasse dobbiamo continuare a pagarle, anche se la liquidità manca… . Mi pare che lo sforzo e il sacrificio richiesto non siano proporzionali.
“Quanto alla cassa integrazione, i cui meccanismi di erogazione devono essere ancora più semplificati a rischio dell’inefficacia della misura di aiuto, per ora la semplificazione è limitata al fatto che il datore di lavoro potrà rivolgersi direttamente all’Inps superando il doppio canale Inps-Regioni e i relativi rallentamenti, resta il nodo della durata degli ammortizzatori sociali – continua -. I datori di lavoro possono fruire della cassa integrazione per l’emergenza COVID-19, per una durata massima di 18 settimane, di cui 14 fruibili per periodi decorrenti dal 23 febbraio al 31 agosto 2020 e quattro ulteriori dal primo settembre al 31 ottobre 2020. Non risulta interamente coperto, dunque, il periodo d’emergenza decretato e, al contempo, i licenziamenti sono sospesi per 5 mesi. Stabiliamo pure che le aziende non debbano licenziare, ma ricordo che non si salvano per legge le aziende dal fallimento e dunque sarebbe indispensabile far coincidere l’arco temporale di concessione degli ammortizzatori con quello previsto per lo stop ai licenziamenti”.
“Ci riserviamo di approfondire i contenuti del decreto, un maxi testo di circa 500 pagine, quando sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale per esprimere un giudizio più puntuale e articolato – dice ancora Mareschi Danieli -. Al momento, segnalo un primo paradosso: voluto per affrontare le urgenze economiche prodotte dalla pandemia, il provvedimento ha avuto una lenta gestazione. Sarà tempo speso bene se il Governo, che oggi mette sul piatto 55 miliardi, tutte le risorse che aveva a disposizione, farà anche in modo che questi soldi giungano a destinazione, superando gli intoppi burocratici che hanno contraddistinto i primi aiuti di marzo. Vedremo se il molto tempo in più destinato a scrivere le norme riuscirà anche a migliorarne i meccanismi. Ricordiamo, infatti, che il precedente decreto liquidità, annunciato come provvedimento in grado di mobilitare “400 miliardi”, si è rivelato alla prova dei fatti inefficace, proprio per la farraginosità delle norme”.
“Sempre in termini generali, se il nome del provvedimento è DL “Rilancio”, possiamo dire che la prevalenza di tanta spesa corrente a discapito di quella per investimenti contenuta nel decreto pare riflettere un approccio più assistenziale che indirizzato a una vera ripresa e gli imprenditori lo sanno bene che per uscire dalle crisi l’unico modo è investire ed evolvere. La situazione è straordinaria, le azioni di sollievo a tante e ampie fasce sociali e produttive sono indispensabili e il debito pubblico non ci consente di aspettarci chissà che. Ben vengano, dunque, anche alcuni sussidi, specie se saranno veloci nell’implementazione e semplici da ottenere – conclude la presidente di Confindustria Udine -, ma in prospettiva all’Italia serve meno burocrazia e più investimenti pubblici per non mortificare lo spirito d’impresa, l’unico vero motore che può essere attivato per tiraci fuori ancora una volta dai guai”.