«Di cultura si mangia»: anche in Fvg in piazza per la riapertura di cinema e teatri
Consapevoli della crescita dei contagi. Ma convinti, nel contempo, che chiudere cinema e teatri sia stato un errore, «perché si tratta di luoghi che avevano garantito le misure contro i contagi, la protezione della salute ai lavoratori e agli spettatori».
Lo hanno detto anche in regione i lavoratori del comparto degli spettacoli, scesi in piazza a Trieste con i sindacati di categoria – Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom – per chiedere un rafforzamento delle misure di sostegno al settore, in particolare sul fronte degli ammortizzatori sociali, e misure capaci di garantire al comparto reali prospettive di rilancio, «a partire dal rispristino dell’operatività dei teatri e delle sale».
Luoghi, questi, che si sono rivelati sicuri: «I dati Anec sulla gestione delle misure anti Covid dopo la riapertura delle sale cinematografiche – rimarca Angela Patriarca, responsabile settore cinema della Slc-Cgil – dicono che dal 15 giugno al 10 ottobre, su un totale di 347mila spettatori registrati e tracciati all’ingresso, si è verificato solo un contagio».
Da qui la protesta di «un settore che per l’ennesima volta – denunciano i segretari regionali Riccardo Uccheddu (Slc), Massimo Albanesi (Fistel) e Gunther Suban (Uilcom) – viene trattato come l’ultima ruota del carro, sacrificabile sull’altare dell’emergenza sanitaria senza una reale comparazione dei rischi effettivi sotto il profilo sanitario a fronte dell’impatto devastante di questo nuovo stop sul comparto dello spettacolo, che già stentava a risollevarsi».
Da qui anche per la profonda delusione per le dichiarazioni del ministro al Turismo e allo Spattacolo Dario Franceschini, «dal quale ci si sarebbero aspettate parole a difesa del settore – aggiungono i sindacati di categoria – e non la semplice presa d’atto di una decisione considerata inevitabile».
A fronte del nuovo stop, in ogni caso, i sindacati e i lavoratori rivendicano l’esigenza di estendere gli ammortizzatori per Covid, oltre alle sei settimane di proroga previste dall’ultimo decreto, e di accelerarne le procedure di erogazione da parte dell’Inps. Un lavoratore con contratto a tempo indeterminato operante nel settore, che in caso di orario full-time ha un salario mensile di circa 1.100 euro, in caso di chiusura percepisce un assegno, quello garantito dal Fis, di circa 700 euro. Assegno che in molti casi è fermo al mese di giugno, con oltre tre mesi di ritardo quindi nei tempi di pagamento.
Ancora più grave la situazione dei precari e degli atipici, di fatto già senza lavoro e spesso in attesa di emolumenti arretrati anche risalenti allo scorso anno, e dei lavoratori dell’indotto: si pensi alle ditte che si occupano della pulizia o della manutenzione, ai bar e agli esercizi di ristorazione interni. Complessivamente un mondo che in regione conta almeno 3mila tra dipendenti diretti, professionisti, lavoratori dell’indotto, e sceso in piazza con una rappresentanza molto variegata, fatta anche di artisti, registi e sceneggiatori, tecnici dello spettacolo, «ad amplificare un segnale di allarme troppo spesso sottovalutato – concludono i sindacati – nella convinzione più o meno esplicita che con la cultura non si mangia».