CarniaCultura

Ferruccio Giaccherini ritorna in Carnia per ritrovare la sua lingua

Un’infanzia vissuta in Carnia, il forzato abbandono ed il ritorno per le vacanze estive nella casa dei nonni paterni. Gli studi, il lavoro e in seguito la scomparsa delle figure parentali più care lo hanno portato altrove, allentando lentamente ma inesorabilmente i legami con gli amici, i luoghi, le abitudini e la lingua. La lingua appunto, che è la prima a perdersi se non è esercitata quotidianamente e ogni giorno vissuta.

Il richiamo costante della sua terra di Carnia ha spinto Ferruccio Giaccherini, tolmezzino di nascita, a coltivare la memoria dei ricordi e a trasferirli e raccoglierli nella silloge “La lingua ritrovata – La lenghe ricjatade“; ritrovata/ricjatade grazie alla fedele traduzione di Celestino Vezzi, che ridà vigore alla sopita, mai cancellata, identità carnica di Giaccherini.

Con la collaborazione e patrocinio del Comune di Tolmezzo la raccolta sarà presentata venerdì 28 ottobre alle 18 nella cittadina carnica a Palazzo Frisacco; oltre all’autore interverranno Raffaella Cargnelutti, Celestino Vezzi e Gian Mario Villalta.


Introduzione

In questa raccolta di poesie, Tolmezzo, la città dell’infanzia di Ferruccio Giaccherini, si materializza e si qualifica come protagonista indiscussa dei suoi versi, che si dispiegano essenziali, toccanti.

Le sue parole, infatti, non cercano artifici letterari o astruse costruzioni formali, ma descrivono con garbo e sincerità: muri, portoni, case abbandonate, persone scomparse, presenze evocate da un altro mondo, quello che esisteva fino al boom economico degli anni Sessanta, restituite ora, grazie al suo lavoro poetico, a un nuovo presente.

Le descrizioni, appena tratteggiate, quasi col timore e pudore di avere usato una parola eccessiva e/o espresso un sentimento di troppo, raccontano anch’esse di quel mondo perbene, fatto di educazione e rispetto, di parsimonia del vivere e del sentire.

Alfredo degli orti, i prati in Picotta, le campane del Duomo, le strade fra i portici bassi, l’ amico emigrante “dagli occhi di passero”, l’osteria di Maria, il sapore delle stagioni, il Natale, le vacanze a Treppo Carnico, il correre scalmanato dei bambini liberi come fringuelli tra gli orti e le case… ci restituiscono sapori, colori e odori di un tempo, ma in questo suo pellegrinare sulle tracce del passato, lo sguardo e il verso dell’autore non scivolano mai in un compiacimento nostalgico fine a se stesso, ma danno il giusto significato a quel passato che se allora pareva normale, oggi non lo è più.

…Tutto quello che ricordo di ieri / mi sembrava a quel tempo /un rosario di piccole cose, / di gesti consueti di una vita normale. / Oggi solo mi appare ogni cosa / illuminata da una luce diversa, / una malta che teneva le pietre / dei giorni e degli anni / ben salde alla loro ragione / di essere storia, amore, speranza.

In questo racconto di tracce e passi perduti, di gesti antichi dimenticati, l’autore cerca ora di gettare nuova luce sul suo e sul nostro presente, che non potrebbe essere tale senza quelle radici esistenziali che hanno formato il bambino di allora e che alimentano di significato l’uomo adulto di oggi.

Ferruccio Giaccherini ricompone frammenti, incolla tarsie variegate di un mosaico personale e collettivo. Un humus prezioso il suo, inalienabile, che ha scelto il verso poetico per esprimersi e che ora, grazie all’incisiva traduzione di Celestino Vezzi, declinato con la musicalità ancestrale della lingua degli avi, ha trovato il suo senso intimo più profondo, la sua verità. Una verità che spesso solo le lingue ritrovate riescono a restituire e a comunicare.

Raffaella Cargnelutti

 

Note

Come molti in Carnia, anch’io in fondo sono stato un emigrante. Ho vissuto a Tolmezzo fino alla preadolescenza e poi trascorso ogni anno le vacanze estive presso la casa dei nonni materni nella quale ero nato. Gli studi, il lavoro e in seguito la scomparsa delle figure parentali più care mi hanno portato altrove, e lentamente ma inesorabilmente si sono allentati i legami con gli amici, i luoghi, le abitudini e la lingua. La lingua appunto, che è la prima a perdersi se non è esercitata quotidianamente e ogni giorno vissuta.

Tuttavia, il senso della mia identità carnica è rimasto intatto, pur se accompagnato dalla percezione di disagio che provavo ogni volta che ritornavo a Tolmezzo, consapevole che il non esserci mi escludeva e mi rendeva estraneo a un mondo che potevo solo osservare da distante. Solamente in anni recenti sono riuscito ad accettare questa condizione dolorosa di non presenza e quindi ho potuto guardare al ricordo non solo con la nostalgia di un tempo perduto, ma con il desiderio di riscoprirlo incarnato nella mia vita presente, nella persona che sono oggi.

L’incontro con Celestino Vezzi mi ha permesso di recuperare la perdita della lingua carnica, quasi una sorta di assoluzione e di nuova accoglienza nella parola che mi è rimasta cara. La traduzione in lingua di Cercivento, che potrebbe essere fraintesa come compiaciuta operazione autocelebrativa, resta invece per me un importante fatto affettivo, simbolico ma anche poetico, in virtù dell’ accurata sensibilità di Celestino che restituisce alla sua voce, almeno interiormente originaria, i pensieri e i ricordi della mia terra.

Ferruccio Giaccherini