Filiera suinicola Fvg sulle montagne russe, serve una strategia di lungo termine
Un anno sulle montagne russe. È quello che sta vivendo il settore suinicolo, la cui variabilità dei prezzi sta mettendo in difficoltà tutti gli anelli la filiera. Ed è proprio per questo che è necessario che, almeno a livello regionale, si individui una strategia organica per garantire la giusta remunerazione alle aziende mettendole al riparo dai picchi speculativi.
Non è passato neppure un anno dai prezzi ‘folli’ pagati dalla Cina in tutto il mondo per la carne di maiale per soddisfare l’impennata dei suoi consumi interni e la perdita di produzione legata alla peste suina. Poi l’onda è calata e, complice anche la pandemia, c’è stato un crollo generalizzato della domanda con relativa depressione dei prezzi. Solo recentemente la GDO ha riconosciuto un aumento dei listini ma ora ha richiesto nuovamente di abbassarli. Anche l’utilizzo delle cosce da parte dei prosciuttifici DOP sembra avere un futuro incerto, sebbene il Prosciutto di San Daniele sembri rispondere meglio rispetto a quello di Parma.
Tornando alla filiera ecco i numeri del Friuli Venezia Giulia, a cura del Cluster AgrifoodFVG.. Il consumo pro capite di carne suina è di 33 kg all’anno, in linea con la media italiana. Nella nostra regione cioè si consumano 39.600 tonnellate di carne di maiale all’anno. Il numero di capi suini qui allevati nel 2019 è stato di 240.591, mentre quelli macellati in regione sono stati 57.763 pari a un peso di carni disponibili localmente equivalente a 11.320 tonnellate. Quindi, nella pratica, mentre la capacità produttiva degli allevamenti regionali è più che sufficiente a soddisfare la domanda locale di carni fresche e trasformate, una quota considerevole degli animali esce viva dalla nostra regione per essere macellata altrove e, allo stesso tempo, una quota delle carni consumate in Friuli Venezia Giulia inevitabilmente proviene da fuori.
Il panorama non cambia se analizziamo e aggiungiamo le filiere di altissima qualità presenti sul territorio dove si lavorano annualmente cosce di suino pari a 1.250.000 animali rispetto ai quali ben poco contano i 180.000 capi suini che lasciano la nostra regione vivi per rientrare, si spera, sotto forma di tagli nobili (cosce) destinati alle produzioni locali DOP e IGP.
È evidente che questa situazione fa perdere una quota notevole del valore di un’ipotetica filiera, qualora esistente, sul territorio a scapito di tutti, rispetto a un consumatore del tutto ignaro di quanto si trova nel piatto. Situazioni come queste sono ormai poco plausibili in un’ottica di sostenibilità globale delle produzioni. Certamente il Friuli Venezia Giulia non può pensare di essere autosufficiente per i propri fabbisogni in carne suina per il consumo fresco e di tagli nobili destinati alle produzioni più blasonate, ma un maggior coordinamento è auspicabile nell’interesse di tutti.
In questa situazione, alquanto caotica dove contano anche pochi centesimi di valore sul chilo di carne a livello produttivo primario e della trasformazione, ci si aspetterebbe che la “tortura cinese” data dalla somma della peste suina del 2019 e del lockdown Covid di inizio 2020 porti gli operatori a una maggior collaborazione con l’obiettivo di mantenere sul territorio il maggior valore per le produzioni.