Industria, nel 2020 in provincia di Udine si stima un crollo del Pil superiore al 9%
“L’impatto improvviso a marzo del Covid-19 sull’industria della provincia di Udine è stato pesantissimo: si stima un crollo del Pil nel solo 2020 pari ad oltre 9 punti percentuali. Nel primo trimestre 2020 l’indicatore della produzione industriale, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, già in calo nei trimestri precedenti, è sceso del 6,2%”.
La presidente Anna Mareschi Danieli (nella foto) illustra i risultati dell’indagine trimestrale sul comparto manifatturiero provinciale condotta dall’Ufficio studi di Confindustria Udine, che certifica la gravità della crisi economica in atto.
“Le misure di contenimento e di contrasto per limitare la diffusione della pandemia – sottolinea la presidente di Confindustria Udine – hanno determinato un doppio shock negativo: dal lato della domanda con il rinvio delle decisioni di investimento da parte delle aziende e di spesa da parte dei consumatori, dal lato dell’offerta con il blocco di numerose attività produttive. E anche nel secondo trimestre, in conseguenza della chiusura di circa il 60% delle imprese manifatturiere per diverse settimane e con le restanti che hanno continuato a lavorare a ritmi ridotti tranne poche eccezioni, la caduta dell’attività sarà sicuramente maggiore. La fine del lockdown non sta generando un immediato rimbalzo perché le imprese devono smaltire le scorte accumulate, la domanda interna non dà segni di ripartenza e quella estera risente della contrazione del commercio mondiale. Anche il fatturato ha segnato nei primi tre mesi di quest’anno un crollo, con una variazione negativa del -6,8% rispetto allo scorso anno. In conseguenza della pesante diminuzione degli ordini, per il 73% delle aziende nel secondo trimestre si registrerà un’ulteriore e pesante diminuzione delle vendite”.
“Gli impatti dell’emergenza sanitaria sui prezzi – continua la presidente – vedono prevalere al momento gli effetti deflazionistici. I prezzi dei materiali e dei prodotti finiti hanno registrato rispettivamente -7% e -6,4% nel primo trimestre rispetto al 2019. Lo scenario recessivo che ha caratterizzato la prima parte dell’anno in corso appare generalizzato a livello settoriale, salvo alcune eccezioni”.
In dettaglio, l’industria meccanica provinciale (che ha un peso rilevante nell’intero settore manifatturiero, con il 43,2% degli addetti, il 31,1% delle aziende e il 42,1% del totale export del manifatturiero provinciale) dopo la crescita registrata nel 2017 (+3,1% la variazione tendenziale annua) e la decelerazione nel 2018 (+1,8%) ancora più marcata nel 2019 (solo +0,6%), ha subìto una pesante caduta nel primo trimestre 2020 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno: -4,8%. L’industria siderurgica (in cui sono occupati il 7,7% degli addetti manifatturieri provinciali e le esportazioni pesano per il 26,5%), dopo un biennio 2017-2018 positivo (+2,1%) e una brusca frenata lo scorso anno (-3,5%), ha registrato un vero e proprio crollo nei primi tre mesi di quest’anno: -7,4%. Nel settore del legno e dei mobili (con il 16,3% degli addetti, il 24,5% delle aziende e l’8,7% delle esportazioni sul manifatturiero provinciale), al calo del 2019 (-3,9%) è seguito un tracollo nel primo trimestre 2020: -11,9%. In forte diminuzione nei primi tre mesi di quest’anno i volumi prodotti nel comparto dei materiali da costruzione, -13,9% mentre sono aumentati nel comparto della chimica, +1,8% settore che meno ha risentito dell’impatto covid. L’industria alimentare e quella della carta, pur segnando una variazione tendenziale negativa rispetto al primo trimestre 2019 (rispettivamente -4,9% e -2,7%), hanno registrato, non avendo interrotto la produzione, una crescita rispetto al quarto trimestre dello scorso anno (rispettivamente +1,9% e +3,8%).
Con riferimento all’occupazione, in provincia di Udine, secondo le elaborazioni dell’Ufficio studi di Confindustria Udine su dati dell’Osservatorio del lavoro della Regione, nel periodo gennaio-marzo 2020 le assunzioni hanno riguardato 19.045 rapporti di lavoro, -14,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (quando si sono contate in 22.205 unità). Le cessazioni sono state pari a 17.306 unità, con un saldo di positivo di 1.739, notevolmente inferiore a quello registrato nei primi tre mesi del 2019, 5.016, e del 2018, 5.742. Si è osservata, infine, un’esplosione nell’utilizzo della cassa integrazione guadagni le cui ore autorizzate in provincia di Udine sono passate dalle 238.515 (138.858 riguardanti l’industria) dei primi 4 mesi del 2019 alle 9.690.705 (8.393.792 riguardanti l’industria) del 2020. Di queste, il 91%, pari 8.845.339 ore si riferiscono al solo mese di aprile, superando il picco mensile dell’agosto 2011 con 2.299.256 ore).
“La maggior parte delle imprese è costretta a navigare a vista – osserva Anna Mareschi Danieli -, la merce stoccata va smaltita, il mercato non si riprende, la fiducia è ai minimi storici e l’incertezza regna sovrana, sia a livello italiano che internazionale. In assenza di adeguati investimenti pubblici a sostegno della ripresa del sistema produttivo e della protezione della produzione europea rispetto alla concorrenza di Paesi con costi di produzione decisamente inferiori ai nostri, nel giro di pochi mesi si rischia l’esplosione di una vera e propria emergenza sociale, che nulla ha a che vedere con quella attuale, in quanto diventerà non più contingente, ma generalizzata e strutturale. Quando la paura sanitaria sparirà o meglio quando ci saremo abituati a sopportarla, molti si troveranno a casa, non più per ragioni sanitarie, ma perché non avranno un’occupazione”.
“In autunno – rincara la presidente -, se non prima, molte aziende saranno costrette a chiudere o comunque a ristrutturare pesantemente. Non si potrà più impedire il licenziamento per decreto. Se le imprese non riescono a sostenere i propri costi con il proprio fatturato e quindi il proprio margine, non c’è decreto che tenga. Si chiude. Nemmeno il lavoro si crea per decreto. Finora si è distribuito giustamente (poco) denaro a pioggia per tamponare l’emergenza, si è utilizzata CIG e CIGS, ma sappiamo che il nostro Paese non può sostenerla ancora per molto. Serve un cambio di visione per sostenere il nostro futuro. Se prima pensavo che questa visione per il futuro fosse assente, oggi ritengo che invece ci sia, ma non è per nulla in linea con quella che porterà all’inversione di rotta, che dovrebbe mettere gli investimenti e le imprese, in quanto creatori di valore, al centro dell’agenda politica. Abbiamo davanti a noi una sfida epocale e non c’è tempo da perdere, possiamo sfruttare questa opportunità oppure perdere l’occasione. E questa occasione non tornerà più. Non so se è chiaro: bisogna cambiare l’Italia. Rapidamente. Prima che vada in fallimento non soltanto qualche impresa in più, ma l’intero Paese. Possiamo farlo, ma dobbiamo volerlo. Tutti”.