L’allarme dei sindacati: «Fermi 9,5 milioni per il rilancio della Carnia»
Nove milioni e mezzo di fondi destinati al rilancio della Carnia fermi per i ritardi nell’attuazione della programmazione comunitaria e nazionale.
A lanciare l’allarme sono le segreterie territoriali di Cgil, Cisl e Uil, che chiedono alla Regione, in quanto ente coordinatore e capofila, di «accelerare le procedure per utilizzare i fondi e dare il via ad interventi che sono già stati individuati a livello locale e che possono dare – sostengono Natalino Giacomini (Cgil), Valentino Bertossi (Cisl), e Ferdinando Ceschia (Uil) – un contributo concreto a frenare e invertire la spirale del declino demografico ed economico dell’Alta Carnia».
GLI INTERVENTI. Gli interventi previsti, strutturati in nove azioni, vanno dal sostegno alla filiera del legno, all’industria agroalimentare e al turismo al potenziamento dell’offerta scolastica e formativa, dei servizi socio-sanitari, del trasporto pubblico locale, nell’ambito di una strategia, quella per il rilancio delle Aree interne, che rappresenta uno dei grandi assi strategici nell’impiego dei Fondi strutturali europei 2014-2020. L’obiettivo è quello di contrastare, nel medio periodo, il declino demografico ed economico dei territori penalizzati nell’accesso ai servizi di base. Alla programmazione, oltre all’Alta Carnia, in provincia di Udine sono interessati anche i comuni della Valcanale e del Canal del Ferro.
I FONDI. «Nella sola Alta Carnia – spiegano Giacomini, Bertossi e Ceschia – gli investimenti programmati ammontano a 9,5 milioni, costituiti per la maggior parte, 8,3 milioni, da fondi già stanziati dall’Unione Europea e dallo Stato, mentre 1,2 milioni attengono al contributo di investitori privati. Si tratta di interventi che possono dare un contributo concreto a contrastare alla radice le cause del declino demografico ed economico, e sarebbe imperdonabile se si arrivasse alla scadenza del periodo di programmazione comunitaria, ovvero al 2020, senza aver utilizzato le risorse a disposizione».
LE CIFRE DELL’ALLARME. Il lavoro della Commissione nazionale aree interne aveva evidenziato, già nel 2015, l’impatto del declino demografico. Negli ultimi quattro anni il quadro è peggiorato. Rispetto al censimento 2011, la popolazione è scesa dell’8% nel complesso delle aree interessate e del 5% nei 21 Comuni dell’Alta Carnia (il gruppo non comprendeva Sappada), dove è passata da 20.483 a 19.450 abitanti (dato Istat di ottobre 2018). Prosegue anche il calo delle imprese attive: secondo i dati della Camera di Commercio, relativi a tutta la montagna regionale, il numero delle unità locali attive è calato del 9% rispetto ai dati pre-crisi (2008), contro il 7% medio della regione, e dello 0,9% nel solo 2018, a fronte di un calo regionale dello 0,3%. Ancora più drastico, nel 2017, il decremento degli addetti, il cui numero è sceso del 3,4% rispetto al 2017.
NON FERMARSI ALL’EMERGENZA MALTEMPO. «Se da un lato è apprezzabile la tempestività con cui la Regione si è mossa, sia con risorse proprie sia nei confronti del Governo, per far fronte agli effetti dell’ondata di maltempo dello scorso autunno – sostengono Cgil, Cisl e Uil –il rilancio della montagna non può fermarsi all’emergenza e al ripristino del territorio. Resta infatti ferma l’esigenza di intervenire per innescare un circolo virtuoso sostenendo i settori strategici dell’economia montana, favorendo l’imprenditorialità e la creazione di nuova occupazione anche attraverso interventi mirati sul fronte della formazione e della scuola, supportando quella rete di presidi e servizi, dal piccolo commercio agli sportelli postali e bancari, dagli ambulatori agli asili nido, dall’assistenza domiciliare al trasporto locale, il cui potenziamento è fondamentale per contrastare il calo demografico. La filosofia del programma “Aree interne” va esattamente in questa direzione, e se è vero che rappresenta solo una risposta parziale ai problemi della montagna e delle aree periferiche di questa regione, ulteriori ritardi nella sua attuazione sarebbero ingiustificabili».
LE INCOGNITE DEL DOPO UTI. A preoccupare ulteriormente i sindacati un nuovo fattore che potrebbe aggravare l’impasse, e cioè la situazione d’incertezza relativa agli assetti istituzionali delle autonomie locali: «Le associazioni tra Comuni e la messa in rete dei rispettivi servizi – spiegano Giacomini, Bertossi e Ceschia – sono una delle condizioni poste dall’Europa e dallo Stato italiano per l’accesso al programma Aree interne. Auspichiamo quindi che le incertezze sul futuro delle Uti non pregiudichino l’attuazione degli interventi. Questo non solo per scongiurare l’ipotesi di un blocco del programma, ma anche nell’ottica più generale di una gestione efficiente e sostenibile delle autonomie locali in questa regione».