Meno pressione venatoria per difendere la presenza del capriolo sulle Prealpi Giulie
Nei giorni scorsi la stampa ha evidenziato una criticità relativa al numero di caprioli presenti in un ambito delle Prealpi Giulie. L’articolo metteva in luce come tale diminuzione potesse essere correlata con i recenti episodi di bracconaggio che hanno interessato la zona. Inoltre venivano illustrate le scelte della Riserva di caccia di Venzone volte a tutelare la specie.
“Appare chiaro a tutti come tali scelte, cui la suddetta Riserva non è peraltro nuova, siano senz’altro da apprezzare e sostenere. È altrettanto evidente come la pratica fraudolenta dell’attività venatoria vada sempre e comunque condannata” scrive in una nota il direttore dell’Ente Parco, Stefano Santi.
A fronte di ciò però probabilmente vale la pena allargare il ragionamento sulla presenza del Capriolo nell’area prealpina delle Giulie ai fini della sua gestione e conservazione.
Non è facile determinare, in tale realtà, con semplici automatismi l’impatto dei fenomeni di bracconaggio sulla consistenza della specie. Ciò che è certo è che l’effetto non può essere positivo né in termini numerici né per quanto attiene il mantenimento di equilibrati rapporti (maschi – femmine, giovani – adulti) all’interno della popolazione. Un ulteriore elemento da tenere in considerazione, ma ancora da sondare in tutta la sua portata, è il diffondersi di patologie che interessano l’apparato digerente del capriolo originate dalla convivenza nei medesimi spazi con animali domestici. Viceversa un fattore altamente significativo è quello rappresentato dall’abbandono nelle zone montane delle pratiche agro – zootecniche che ha portato alla progressiva chiusura di spazi aperti.
Lo stesso Piano Faunistico Regionale riporta come “Le popolazioni di Capriolo, sostanzialmente stabili o addirittura in aumento, in alcune zone della regione, tendono localmente a regredire man mano che il progressivo abbandono della montagna favorisce l’affermarsi di una tipologia forestale più matura ed evoluta.” Questo fattore di rischio era già stato evidenziato dal Piano pluriennale di gestione della fauna del Parco dove si può leggere che “Il capriolo può essere pertanto favorito da interventi forestali che tendano a mantenere una elevata diversità ambientale. Oltre a specifici interventi di taglio finalizzati alla creazione di radure, anche nelle normali attività di gestione forestale è possibile trovare delle soluzioni indicate per gli ungulati.”
Alla luce di tali considerazioni il Parco, all’interno del quale la caccia è vietata, ha promosso nel corso degli anni azioni di gestione attiva del territorio che recentemente si sono tradotte nella scelta di dare contributi a quanti falciano i prati all’interno dell’area protetta. Questa iniziativa, oltre ad avere ricadute di natura paesaggistica, vuole appunto favorire il mantenimento e, possibilmente, l’ampliamento di quelle aree aperte così importanti per il capriolo ma anche per altre specie animali e vegetali. In sostanza un’azione a favore della biodiversità delle aree prealpine.
Purtroppo questa contribuzione non può essere data nelle aree esterne al perimetro del Parco limitando così l’efficacia dell’azione. Tale limite potrebbe essere superato, ad esempio, attraverso l’istituzione di aree contigue previste dalla normativa regionale in materia di aree protette.
È evidente che mettendo insieme questa possibilità con le misure finanziate a favore degli agricoltori dal Programma di Sviluppo Rurale e con le azione di manutenzione territoriale realizzate dalle Riserve di caccia si ricreerebbe un mosaico di ambienti di cui il Capriolo ed altre specie potrebbero sicuramente beneficiare.
In sostanza: ricerca e monitoraggio, riduzione della pressione venatoria, lotta al bracconaggio e gestione attiva degli spazi aperti possono costituire quel mix vincente in grado di consentire a questa bellissima specie una vita migliore nei territori di cui ci stiamo prendendo cura.