Sappada, la storia di Gianni, dieci anni fa gli salvarono la vita, ora è tornato a trovarli
Dopo il suo incidente in montagna, Gianni è tornato ogni anno a Sappada per passare qualche ora con gli uomini che allora lo trassero in salvo ritrovandolo gravemente ferito in un canale roccioso, ormai prossimo il buio.
Era il 4 settembre del 2006 e ieri sera, nel decennnale, Gianni Deserti – 73 anni, originario di Ferrara, bellunese d’adozione, residente a Ravenna – ha ricordato quelle ore, circondato dal Soccorso alpino di Sappada. Dagli stessi soccorritori che ostinatamente lo cercarono quel giorno e dai giovani che sono entrati a rafforzare la Stazione in seguito. Gli occhi col sorriso di chi ha vissuto un’esperienza che lo ha cambiato, camminatore instancabile, Gianni ha iniziato così: “Ero partito la mattina alle 9 da Sappada, avevo pensato a un certo percorso: raggiungere il Rifugio De Gasperi (dal sentiero 316 Corbellini, ora chiuso perché franato) e rientro da un itinerario diverso, dalla Forca dell’Alpino, passando dal Bivacco Damiana, nel Gruppo del Clap. La giornata era stupenda, sole caldo, atmosfera tersa. Sono arrivato sudato al Rifugio De Gasperi, mi sono tolto i vestiti per metterli ad asciugare, avevo il costume, e ho mangiato qualcosa sul prato: ‘pan e gaban’, come dice un vecchio amico carnico. Mi ricordo che è arrivato un pulmino con 7-8 ragazzi guidato da un signore. Erano tutti suoi figli. Quando ho finito, verso l’una e mezza, mi sono rivestito. Indossavo pantaloncini corti con grandi tasconi laterali. Di solito il cellulare lo tenevo a destra, quel giorno non mi sono accorto e l’ho infilato nella tasca opposta. Questo gesto mi ha salvato la vita: sono caduto sul lato destro, lo avrei di sicuro sbriciolato. Il gestore del Rifugio mi chiese il numero di telefono e mi diede il suo. Poi mi sono avviato. Ho superato un lungo ghiaione, i segnali sul sentiero non erano tanti. Mi sono distratto, comparivano dei bolli rossi distanziati. Arrivato alla forcella, la scritta era parzialmente cancellata, non sono riuscito a leggere e sono andato a sinistra”.
Un bivio, una scelta errata, anziché procedere verso Forcella dell’Alpino, Gianni s’incamminò verso Forcella Clap Grande. “Una gola stretta. Nella peggiore delle ipotesi, pensai, torno indietro. Ho visto il bosco in fondo, due persone che scendevano con le corde, mi hanno incoraggiato a proseguire. Mi sono ritrovato sopra un salto tra due pareti di roccia, mi sembravano cementate, con appigli. Mi ha spinto la troppa sicurezza di me, l’arroganza del ‘ce la faccio’. Ho buttato giù il bastone, legato bene lo zaino e sono sceso. Non credo di avere fatto più di due metri. La sporgenza a cui mi tenevo si è staccata. Non volevo cadere di schiena. Ho puntato le ginocchia e mi sono lasciato scivolare, lo zaino mi ha protetto in parte. Sono arrivato al suolo di fianco. D’istinto ho tenuto su la testa. Solo che non c’erano sassi arrotondati sotto. Nella botta non ho provato dolore, però ho sentito il rumore delle ossa rotte. Non riuscivo più a respirare. Vuoi alzarti in piedi e non ce la fai”.
Nell’incavo di pietre aguzze in cui era finito, Gianni si era rotto 4 costole, che gli avevano forato la pleura e un polmone, e si era fratturato la cresta iliaca destra. “Sulla diagnosi c’era scritto ‘esplosione della cresta iliaca’. Ho cercato di calmarmi, mi sono concentrato. Se ti spaventi, non riesci più a respirare. Ho iniziato a strisciare sui sassi. Se mi alzo, pensavo, e c’è qualcosa di rotto, spacco tutto. Mi sono tranquillizzato, ho riflettuto: dovevo chiamare. Ho messo la mano nella tasca e non ho trovato il telefono, mi si è gelato il sangue. Poi tastando i pantaloncini l’ho rinvenuto nell’altra tasca e ho iniziato a chiamare il 118”.
Alla voce di Gianni si unisce quella di Gianpaolo, allora vicecapostazione, e di Christan, capostazione oggi, la squadra che riuscì a individuarlo: “La sua caduta probabilmente è avvenuta attorno alle 14.30. Lì non c’è alcuna copertura telefonica. Gianni è riuscito a prendere miracolosamente la linea quasi alle 17, ancora oggi non sappiamo come abbia fatto”. Gianni continuava a comporre le tre cifre: “Alla fine si è attivata la comunicazione e dalla centrale operativa mi ha risposto Emma, le ho detto che ero partito dal De Gasperi e presumevo di essere sul sentiero. Poi la linea è caduta e non sono più riuscito a parlare”.
Gianpaolo e i suoi uomini vennero attivati subito, l’elicottero del Suem di Pieve di Cadore imbarcò Gianmarco, uno dei soccorritori, per effettuare una prima ricognizione: “In quelle poche parole Gianni aveva detto che era partito dal De Gasperi, insisteva nel dire che era sul Passo dell’Alpino. Noi dovevamo pensare a ogni ipotesi, sia che potesse trovarsi sulla Forca dell’Alpino, che sul Passo del Mulo, dalla parte opposta. Con l’elicottero abbiamo sorvolato anche il punto in cui era caduto, e lo avremmo visto fosse stato ancora lì, ma era riuscito a trascinarsi 200 metri più in basso, in un tratto infossato”.
Dopo la prima rotazione senza esito, l’eliambulanza ne compie una seconda con Gianpaolo a bordo, che poi sbarca in quota per avviare la ricerca a piedi lungo i valloni. Poco dopo l’A 109 K2 trasporta in quota anche Nino e Christian. Nino scende verso il Bivacco Damiana, Christian si unisce a Gianpaolo sulla Forca dell’Alpino. Il pomeriggio volge al termine, l’elicottero deve andare a fare carburante. Forse si riuscirà ancora a elitrasportare altri soccorritori, in ogni caso l’intera Stazione è già pronta a muoversi a piedi.
Riprende Gianni: “Prima l’ho sentito, poi ho visto l’elicottero. Con la parte in forma ho messo la giacca a vento sul bastone per sventolarla. Oltretutto ero vestito di scuro: bisogna andare in montagna con abiti rossi o arancioni. Ho provato 2-3 volte, ma non c’era più. Con pantaloncini corti e tshirt è arrivato il freddo. Passava il tempo, il sole scendeva ed è cominciato lo sconforto. Mi cadevano le lacrime e pensavo: ho fatto una grande cavolata e la pago con la vita. Ho salutato mentalmente i miei cari. Il mio ciclo di vita finiva, ero consapevole che non avrei passato la notte: ogni volta che mettevo la mano sul bacino la ritraevo bagnata di sangue. Finché all’imbrunire sono riuscito a prendere la linea di nuovo. Ho saputo dopo che le onde radio si propagano meglio di sera. Mi ha risposto ancora Emma, è stata estremamente esperta e umana nell’incoraggiarmi. Contemporaneamente era in contatto con il pilota: ‘Insistete, ce l’ho in linea adesso, dai che lo trovate!’”.
Sono quasi le 19 quando Gianni per la seconda volta parla con il 118. Lui non lo sa, ma Gianpaolo e Christian, dopo essere passati sul versante friulano, hanno salito la Forcella di Clap Grande, sono scesi dietro e stanno verificando il canale in cui si trova lui, il Cadin di Elbel: “Stava diventando buio, le squadre erano pronte a partire, noi percorrevamo a piedi i valloni, l’elicottero era a fare carburante. Continuavamo ad avere problemi con le radio, quando scendendo, gli siamo arrivati sopra. Abbiamo subito dato conferma che l’avevamo trovato: è qui! L’elicottero, che stava tornando per l’ultima ricognizione, ha stentato a vederci nel canale chiuso. Gianni è stato imbarellato rapidamente e verricellato. Marco dall’elicottero ci ha detto ‘torniamo a prendervi’. Noi gli abbiamo risposto ‘non ci pensate nemmeno, scendiamo a piedi’. Sul prato a valle, i ragazzi hanno creato una piazzola illuminandola con i fari del fuoristrada e delle frontali per agevolare l’atterraggio”.
Caricato a bordo, Gianni è stato trasportato a Pieve di Cadore. Ricorda quei momenti: “Era il tramonto. Quando li ho visti arrivare tremavo talmente da perdere ogni forza. Non dimenticherò mai quando mi hanno coperto con il telo termico, era come se avessero acceso un fornello. Mi hanno ridato la vita. Più tardi Emma è passata a trovarmi in ospedale, ho riconosciuto immediatamente la sua voce. Ho passato 16 giorni a Pieve e 15 a Ravenna, alla clinica San Francesco. Finché ho vita attiva e capacità di guida, anche solo per una settimana continuerò a venire a Sappada. Verrò sempre per questi ragazzi qui”.