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Viabilità in Carnia, «è necessario garantire l’accessibilità a luoghi così meravigliosi»

Riceviamo e pubblichiamo da Andrea Pincin, dottore forestale, funzionario pubblico e prof. agg. nel corso di Alpicoltura – prati e pascoli presso l’Università di Udine, una riflessione sul tema della viabilità interna dell’area della Carnia,.

Il sole, ormai più tenue rispetto all’estate, con i suoi raggi dorati riesce ancora a riscaldare i prati e i boschi sull’altopiano di Vas, in comune di Tolmezzo. Le chiome si lasciano increspare da una brezza leggera, in quel soffio di aria fresca e frizzante d’autunno; le foglie, ormai stanche, sono pronte a prendere il volo verso nuovi lidi, mentre gli alberi si preparano al meritato riposo invernale. Sono seduto sul prato in compagnia di un amico che ha la fortuna di vivere in questa parte di mondo meravigliosa, di poterla chiamare cjase.  

È triste: a breve lo aspetta la ripresa dell’Università giù nella Basse, e poi chissà, un lavoro in qualche paese lontano. È una ripartenza verso un mondo di possibilità, che la sua terra non sembra essere in grado di offrire, quasi divenuta sterile e refrattaria alla presenza dell’uomo. C’è un’inquietudine nei suoi occhi, leggo il dolore di emigraturus (participio futuro di emigrare, nel senso di colui che sta per emigrare). “Perché è ancora così come cento anni fa? – mi chiede – Une volte sull’altopiano c’erano tanti bambini e bambine. Divenuti uomini e donne, molti emigravano in Austria, Germania o altrove. Ma nel 2024 dovrebbe essere diverso: ci sono gli aerei, le automobili, internet”. Invece il destino per molti montanari sembra essere ancora congelato a un secolo prima: l’unica via è l’emigrazione, l’abbandono forzoso dei propri luoghi e dei propri paesaggi.  

Purtroppo, conosce già la risposta alla sua domanda. Lui, futuro ingegnere informatico, come lavorerà su un altopiano in cui spesso manca la connessione a internet? Come metterà su famiglia in quel paradiso, se il primo servizio di pubblica utilità è ad almeno 30 minuti di curve su una stretta strada di montagna, col manto dissestato ed esposta alle intemperie e all’incuria? Quale famiglia può riuscire a percepire quel paradiso come tale, senza sentirsi in una cella di isolamento? Nei suoi occhi leggo una frattura interiore profonda, dove l’affetto per le proprie valli confligge in modo inconciliabile con il suo futuro professionale e famigliare.  

In un libro di geografia ho letto che “ogni cosa è correlata a qualsiasi altra, ma le cose vicine sono più relazionate di quelle lontane (Waldo Tobler)”. Non è vero, almeno non lì: gli altopiani di Lauco e Tolmezzo non rispondono alle più basilari leggi della geografia. Senza una cura lungimirante delle politiche sulle vie di comunicazione, in montagna due posti vicinissimi finiscono per essere enormemente distanti. Gli altopiani e le valli di Lauco e Tolmezzo, sotto lo sguardo paterno del monte Arvenis, ne sono un esempio. Sono diamanti smeraldini incastonati sui versanti e creati e mantenuti da una relazione millenaria tra la natura e il lavoro dell’uomo. Sono a due passi da Tolmezzo, dall’autostrada e dalla pianura. Ma sono destinati a restare distanti dal resto del mondo. Solo per percorrere la strada tra Vas e Tolmezzo ci sono quasi 30 minuti di curve: la distanza in linea d’aria non arriva a 6 chilometri. Una media di 11 chilometri all’ora. Si parla tanto di  sostenibilità e di riduzione del divario tra città e campagna (o tra città e montagna), ma qui i tempi di spostamento sono rimasti quelli del primo dopoguerra, più o meno come spostarsi con un mulo lungo i vecchi sentieri.  

Basterebbe una strada ben progettata, veloce, con poche curve, alcuni ponti e alcune gallerie, allora si che in pochi minuti (e chilometri) gli altopiani di Lauco e Tolmezzo sarebbero collegati al fondovalle. E che interesse possono generare questi meravigliosi altopiani assolati e panoramici: un paradiso contemporaneamente fuori e dentro al mondo. Con una bella strada di collegamento, quanta gente visiterà questi luoghi? Quanti escursionisti e turisti, incuriositi, si fermeranno ad assaporare il suo paesaggio e le meraviglie ivi celate?  E… quante persone si trasferiranno nella più bella periferia rurale di Tolmezzo!  

La Convenzione delle Alpi (1991) asserisce che solo “una politica sostenibile dei trasporti tesa a […] contribuire allo sviluppo sostenibile dello spazio vitale e delle attività economiche, [garantisce le] premesse fondamentali per l’esistenza stessa delle popolazioni residenti nel territorio alpino”. In montagna, le infrastrutture di trasporto e la vivibilità sono concetti intimamente connessi. Non si tratta di realizzare un’autostrada in ogni valle, ma di garantire l’accessibilità ai luoghi, con modalità e tempi congrui al tempo presente. Isolare una comunità in uno spazio geografico in cui la mobilità è la stessa di cento anni fa significa condannarla alla marginalizzazione, all’isolamento sociale, al declino demografico, all’abbandono, anche del  paesaggio. Altrimenti è meglio avere il coraggio di dichiarare tutta l’area una riserva naturale integrale e risparmiare a chi ancora combatte per risiedere lì tutte quelle fatiche e quel senso di profondo spaesamento e marginalizzazione.  

Infrastrutture e vivibilità sono uno binomio fondamentale per garantire la residenzialità nel territorio montano. Residenzialità significa la vita e il futuro delle popolazioni alpine e dei paesaggi da queste costruite in una collaborazione millenaria con la natura. Qualcuno contesterà asserendo che i costi sono troppo alti? Sarà la politica a valutare le opportunità caso per caso. Se qualcun altro contesterà presunti danni ambientali per realizzare qualche ponte e qualche galleria in montagna, si chieda se sia meglio l’abbandono dei suoi paesaggi  e tutti i rischi ad esso connessi e la marginalizzazione di una parte della società civile, soprattutto quando le critiche a questi progetti per il territorio arrivano da chi sta comodo giù in città.  

ANDREA PINCIN